Intervista a Olga Puccioni: Founder e CEO di Optimens

Intervista Olga Puccioni

L’Italia è il paese dell’Unione Europea con il tasso di occupazione (15-64 anni) femminile più basso (56,5%) (fonte: Unioncamere 2020). Ci sono però tantissime Donne che vogliono ribaltare questa tendenza e Olga Puccioni, CEO e Founder di Optimens, è una di queste.

Ha lanciato la sua startup nell’estate del 2021, mentre frequentava lo Startup Builder, l’incubatore di Startup Geeks per validare la propria idea di business in 12 settimane. Optimens opera nel settore delle neuroscienze cognitive, e ha come obiettivo lo sviluppo di soluzioni per contrastare l’impatto del declino cognitivo legato all’invecchiamento.

Ma scopriamola meglio assieme a Olga. Partiamo!

 

Ciao Olga, raccontaci il tuo percorso, e cosa significa per te essere imprenditrice

Prima di essere imprenditrice sono stata una ricercatrice: ho infatti conseguito un Dottorato, un percorso di ricerca scientifica, proprio sulle neuroscienze cognitive. In particolare, ho svolto attività di ricerca sull’invecchiamento, e proprio durante questo percorso mi sono resa conto del gap esistente tra ciò che la ricerca scientifica ha dimostrato sull’invecchiamento e quello che viene invece comunemente riportato sul tema.

Parallelamente, vivevo una situazione familiare particolare (mio marito aveva già tre figli e non poteva spostarsi da Trieste, requisito spesso fondamentale per chi vuole fare ricerca): ho allora iniziato a ipotizzare un modo per far coesistere famiglia e carriera, continuando a usare le competenze acquisite in campo neuroscientifico e restando con la mia famiglia a Trieste. Sono sempre stata convinta, infatti, che una strada prestabilita non esista, e che essa vada costruita con le possibilità e gli strumenti che si hanno a disposizione.

Ho quindi iniziato a sviluppare le mie competenze imprenditoriali con un Master in Complex Action, nella stessa istituzione dove ho svolto il Dottorato. Ho realizzato un MVP e raccolto i primi risultati, ma poi alcune vicissitudini ed esperienze personali (tra cui l’aver avuto due bambini) hanno fortemente rallentato la prosecuzione del progetto. Da un certo punto di vista, però, forse è stato meglio così: ho accumulato esperienza, per essere ancora più pronta ad affrontare la sfida che la creazione di una startup rappresenta.

Una sfida che ho deciso di non affrontare sola, ma con altre donne che condividono con me l’idea di costruirsi attivamente la propria strada: a giugno ho infatti costituito Optimens con un team composto da mie colleghe, o meglio dire ex colleghe. Mi sono infatti licenziata dall’azienda in cui lavoravo, per essere al 100% solo su Optimens.

 

Di cosa si occupa Optimens?

Optimens vuole misurare lo stato cognitivo e sviluppare sistemi per misurare e contrastare il declino cognitivo che caratterizza anche l’invecchiamento fisiologico, cioè quello in cui non ci sono patologie neurodegenerative. Sulla base dei dati raccolti vorremmo sviluppare, inoltre, modelli matematici predittivi dell’invecchiamento, per fornire (sia alle singole persone sia alle aziende) importanti informazioni utili per prendere al meglio decisioni rilevanti dal punto di vista socio-sanitario. Lo Startup Builder di Startup Geeks a cui abbiamo partecipato ci ha molto aiutato nella realizzazione del nostro progetto: mettere alla prova la nostra idea, ma anche testarci come team durante i diversi sprint dello Startup Builder, ha sicuramente accelerato la definizione del modello imprenditoriale di Optimens.

 

Cosa puoi insegnare ai tuoi figli che senza l’esperienza imprenditoriale non avresti potuto insegnare loro? Pensa di scrivergli una lettera, che apriranno tra 15 anni: che cosa gli augureresti, cosa scriveresti?

La prima cosa che mi viene in mente è la responsabilità personale che deriva da questo tipo di lavoro: tendenzialmente se sei un/a dipendente lo stipendio è assicurato (e non lo dico naturalmente in senso negativo, perché fino a qualche mese fa ero proprio in questa situazione), se fai l’imprenditore dipende da te. Sei responsabile a pieno delle tue azioni (e di quelle dei tuoi dipendenti, se ne hai) e delle tue decisioni. Io mi sento responsabile nei confronti della mia famiglia, ma anche delle mie socie, che mi hanno dato fiducia, e mi supportano perché credono in me e in Optimens.

Intraprendere questa strada mi dà inoltre la possibilità di essere per i miei figli e figlie un esempio concreto del fatto che non si debba per forza scegliere tra famiglia e lavoro, che si possa fare entrambe le cose (sempre che si voglia farlo: mia madre ad esempio si è dedicata totalmente a me e mia sorella, ed è una scelta che rispetto, e per cui la ringrazio ancora oggi). Credo infatti che quello che tolgo ai miei figli in termini di tempo dedicato loro, crei un valore aggiunto a me Olga, come persona, e che questo valore aggiunto possa incidere positivamente sul nostro rapporto, e sulla loro crescita.

È una cosa in cui credo e crediamo molto: Optimens stessa – non sono l’unica moglie e mamma tra le mie socie – è infatti strutturata per facilitare il bilancio, spesso complicato in altri ambiti lavorativi, tra il contributo che ognuna di noi dà all’azienda e la propria la vita familiare.

 

Nella tua quotidianità, come riesci a coniugare la gestione di Optimens e quella familiare?

Diciamo che sono allenata alla gestione della complessità. La nostra è una famiglia composta da me, mio marito, due figli piccoli in comune (di 4 e 2 anni) e tre del primo matrimonio (di 12, 20 e 22 anni), oltre a vari animali. Ognuno ha ovviamente esigenze diverse: i piccoli hanno alcuni bisogni, i grandi ne hanno di altro tipo, soprattutto da quando sono andati a vivere da soli.

Nella pratica lavoriamo entrambi di mattina e ci alterniamo per stare con i figli al pomeriggio, e in questo siamo avvantaggiati dal fatto che anche lui è un lavoratore autonomo.

Quello che è importante sottolineare è che io non sono “aiutata” da mio marito, ci dividiamo i compiti familiari, che nel complesso sono miei come suoi. Anche se a volte i preconcetti della gente sono duri da scalfire: se è lui a occuparsi dei bambini, ad esempio, ci sentiamo dire “ma che bravo il papà, ma come fa tutto da solo?” mentre invece frasi del genere dette a una mamma sono molto meno comuni, suonano quasi come fuori luogo.

Sfatiamo il luogo comune secondo cui i bambini, di default, “cercano la mamma”: non è vero, cercano cura, attenzione e relazioni, indipendentemente da quale sia il genitore che le offre.

Un altro preconcetto con cui ogni tanto mi capita di scontrarmi è quello che le donne possano fare le imprenditrici per gentile concessione dei mariti o compagni, o, all’opposto, in una qualche competizione verso il lavoro del partner: per noi di Optimens si tratta più che altro di un team allargato, in cui vengono equamente divisi le piccole, grandi incombenze della vita familiare e di quella lavorativa.

 

Ti è mai capitato di sentirti criticata o a disagio perché vivi il lavoro e la maternità, al tempo stesso, in maniera diversa?

Certamente, in primis da me stessa. Ci sono i sensi di colpa, e per certi versi di inadeguatezza: la sensazione che qualsiasi cosa faccia – sia a livello familiare sia a livello lavorativo – potrei farla meglio se avessi più tempo a disposizione o più energie.

Al contempo però spesso le persone si meravigliano che riesca a fare tante cose (la vecchia storia della ‘donna supereroina’, per intenderci), ma ho semplicemente scelto più cose a cui voglio dedicarmi e distribuito su queste il mio impegno. Ovvio che alcune altre rimangano indietro. Nel mio caso per esempio l’ordine a casa!

Credo che l’importante sia imparare a miscelare gli “ingredienti” che scegliamo nelle giuste dosi – diverse per ognuna di noi – per una vita piena e felice, senza rimpianti.

 

Quando rifletti e pensi alle mille cose da fare, ti mai capitato di pensare non ce la faccio?

Nelle giornate no penso “chi me lo fa fare?”, dall’altro c’è sempre la condanna, tipicamente associata alle donne, del “tu non sei/non fai abbastanza”. È un aspetto su cui sto lavorando, perché anche dentro di me ho ancora il messaggio che potrei fare di più, ma da neuroscienziata so che non è facile, che si tratta proprio di un bias (un condizionamento) tipico femminile: è stato dimostrato che le donne, ad esempio, si candidano in media per una posizione lavorativa se possiedono tutti i requisiti o quasi, mentre gli uomini si candidano anche quando ne hanno molti meno. Un altro studio interessante riguarda l’influenza del giudizio sociale su una performance cognitiva (ad esempio in un test di matematica): se gli sperimentatori, prima del test, dicono ad alta voce che le donne andranno peggio rispetto agli uomini, i voti saranno davvero più bassi. Effetto che invece non si osserva negli uomini se i ricercatori, prima del test, dicono che saranno loro ad andare peggio (sono, insomma, più impermeabili al giudizio sociale, meno influenzabili).

Certo, a volte questa dinamica (il dirti da sola “hai preso 9, potevi prendere 10!”) ti sprona a fare sempre di più, e meglio, ma bisogna anche fare lo sforzo di essere consapevoli che il 9 è già un voto molto buono. La tensione verso la perfezione la si ottiene sempre a costo di qualcos’altro, ma ne vale la pena?

E poi quando invece ce la fai, raggiungendo piccoli e grandi traguardi, mica stai a guardare se sul tuo trofeo c’è una macchiolina: sei felice per averlo ottenuto!

 

Conclusione

Questa era l’ultima domanda che abbiamo posto ad Olga. Approfondire la sua storia come imprenditrice, e mamma, è stato per noi un immenso piacere. Ci auguriamo che possa aiutare tante altre donne ad appassionarsi al mondo dell’imprenditorialità, per renderlo sempre più inclusivo.

Se sei interessata/o ad approfondire come lo Startup Builder possa aiutare anche te e la tua idea imprenditoriale, puoi cliccare il bottone qui sotto.

A presto!

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